C’è un passaggio, in un documento ministeriale, pubblicato alla chetichella qualche settimana fa. È una frase contenuta a pagina 45 del nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne 2021-2027 (PSNAI), approvato all’ultimo minuto. Si trova nell’“obiettivo 4: Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”.
E recita: “Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma nemmeno essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento”.
Non è la boutade di qualche sottosegretario sotto l’ombrellone, e nemmeno un refuso. È la nuova strategia del governo Meloni, di fronte al dramma che vivono centinaia di Comuni italiani, per lo più montani, collinari o rurali.
In pratica si rinuncia palesemente all’idea di invertire la tendenza allo spopolamento. Si pianifica il declino. Una sorta di “accompagnamento” alla morte, insomma l’eutanasia delle aree interne.
Per la definizione di Aree Interne alcuni dati: sono quasi 4.000 Comuni italiani, sparsi un po’ in ogni regione, che si trovano a volte molto lontani dai centri dove è possibile accedere a servizi essenziali come sanità, istruzione e mobilità. Coinvolgono oltre 13 milioni di cittadini, il 23% della popolazione, distribuiti su quasi il 60% del territorio nazionale. E’ l’italia che resiste!. Quella che custodisce boschi, pascoli, acque, borghi storici, comunità peculiari.
Nel PSNAI, approvato nel marzo 2025 ma diffuso solo ora, lo Stato compie una distinzione netta tra territori rilanciabili e territori senza possibilità di futuro.
I secondi, si legge, hanno una struttura demografica compromessa, con popolazione in forte declino e basse prospettive di sviluppo. E quindi, si conclude, non possono avere obiettivi di rilancio.
Ma cosa vuol dire in pratica? Significa che non si investirà più su politiche atte a trattenere giovani o attrarne di nuovi; significa che non si costruiranno più servizi in quei luoghi. Che si pianificherà un dignitoso tramonto del welfare che si limiterà a fornire badanti e medicine, ma non opportunità né speranza di futuro.
Un gruppo di studiosi, riuniti il 12 giugno dal CERSTE( Centro europeo di ricerche socioeconomiche, tecnologiche ed ambientali) ha avuto il coraggio di dire le cose come stanno: questo documento è una sentenza, non una strategia. E viola in spirito l’articolo 3 della Costituzione, là dove parla dell’impegno della Repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano l’eguaglianza e la partecipazione di tutti i cittadini.
Invece di rimuoverli, si sancisce l’ineluttabilità della fine, e che non si può misurare la vitalità di un borgo solo coi numeri dell’anagrafe.
Le implicazioni sono devastanti.
Si accentua la polarizzazione tra città affollate e invivibili e campagne abbandonate. Si crea un’Italia a doppia velocità dove le periferie non sono più nemmeno oggetto di recupero, ma di gestione dell’ordinario. Eppure, proprio in quei territori ci sarebbero opportunità strategiche: agricoltura sostenibile, turismo lento, specificità culturali ed etniche, energie rinnovabili, coesione sociale, difesa idro-geologica. Intanto mentre nel resto d’Europa, dalla Francia ai Paesi nordici , le aree rurali sono oggetto di investimenti e valorizzazione, accesso a fondi dedicati, programmi a lungo termine, in Italia, invece, si preferisce accompagnare al tramonto.
È un messaggio lugubre: Non contate più! E poi è anche una questione di dignità: le comunità resilienti delle Aree Interne non vogliono elemosine, chiedono piuttosto possibilità per chi decide, pervicacemente, di restare, legati alla terra di origine.
Questo è il punto che il PSNAI ignora. Le Aree Interne non sono solo problemi da contenere, come pare emergere dal documento. Sono risorse da liberare. E se l’Italia vuole davvero essere una nazione coesa, deve smettere di pensare in termini di resa amministrativa e tornare a fare politica, nel senso più alto: ascoltare, valorizzare, scegliere. Perché un Paese che dichiara la fine di sé stesso, un borgo alla volta, sta smettendo di essere una Repubblica.
( fonte Fatto Quotidiano, a cura di SPI CGIL Salerno)